Kundalini
Grazie alla pratica costante dello yoga, i tantrici riescono ad accelerare in modo permanente la vibrazione del corpo affinché possa essere chiaramente percepita.
Quando tutte queste oscillazioni che vibrano a frequenze differenti, presenti sia nell’universo sia nell’uomo, iniziano a essere risvegliate all’interno dell’essere umano, sono chiamate, nelle pratiche yogiche, kuṇḍalinī o più precisamente kuṇḍalinī-śakti.
La terminologia vibratoria non è per nulla moderna ma fa parte del vocabolario del Tantra e in particolare delle scuole tantriche del Kashmir. Il gergo della vibrazione è stato sviluppato nel massimo dettaglio dagli yogin filosofi della scuola Spanda. Secondo le loro teorie, ogni cosa è vibrazione: gli elementi, i loro fondamenti sottili, gli oggetti dei sensi, l’energia vitale, i chakra. Anche la stessa Śakti suprema è di natura vibratoria. 1
La kuṇḍalinī è simbolicamente immaginata, nell’uomo, come una dea a forma di serpente che dorme avvolta su sé stessa tre spire e mezzo alla base della colonna vertebrale.
Secondo la Advayatāraka-upaniṣad e la Maṇḍalabrāhmaṇa-upaniṣad, la kuṇḍalinī è un’impercettibile struttura sottile, simile alle fibre di uno stelo di loto, luminosa come diecimila lampi di luce.
Śakti-yoga significa lavorare con la propria energia vitale fino a diventare consapevoli del suo percorso d’azione, noto come risveglio di kuṇḍalinī (kuṇḍalinī è la potenzialità dell’esperienza e per questa ragione è chiamata śakti).
Possiamo riferirci a quattro aspetti dell’energia di kuṇḍalinī:
- Kuṇḍalinī-śakti addormentata.
- Kuṇḍalinī-śakti risvegliata.
- Kuṇḍalinī-śakti che si muove.
- Kuṇḍalinī-śakti in unione con Śiva.
Il risveglio, cioè il riconoscimento consapevole di queste attività e forze, è uno dei passaggi fondamentali di ogni pratica yogica associata alla visione del tantra.
Kuṇḍalinī, quando evocata e risvegliata, attiva una serie di sensazioni tattili nella schiena (percepita dallo yogi come fosse il movimento strisciante di una formica), che salgono fino al punto più alto della corona craniale dove è localizzata la fontanella bregmatica, conosciuta come brahma-randra (porta di brahman), via di accesso verso l’infinito.
Mudrā, il gesto sacro
Chin o gyan mudrā, l’unione del pollice e dell’indice, con le altre tre dita distese, è forse il gesto delle mani più conosciuto dell’universo yogico. Ma le mudrā non sono solo gesti delle mani, sono anche posizioni del corpo, pratiche respiratorie e di concentrazione.
Punto di svolta che separa lo yoga esterno, composto da āsana e prāṇāyāma, dallo yoga interno, costituito da pratiche meditative di vario genere, è la pratica di mudrā e mantra.
Attraverso mantra, mudrā, nyāsa, yantra e tutti gli altri numerosi elementi del rituale tantrico, i praticanti ritagliano all’interno della realtà ordinaria uno spazio sacro per connettersi alle dimensioni sottili dell’esistenza.
Possiamo dire che gli āsana stanno alle mudrā come i prāṇāyāma stanno ai mantra. Āsana e prāṇāyāma attivano e purificano il corpo fisico e pranico, mentre mudrā e mantra sono gli strumenti utilizzati per trasformare il corpo formato dai cinque elementi in un corpo animato da divinità (molte mudrā hanno anche, più semplicemente, la funzione di riportare il respiro in uno stato di equilibrio).