L’ascolto di sé sarà il passaggio fondamentale per trasformare il corpo oggettivo in un corpo soggettivo.
Il praticante dovrà imparare ad ascoltarsi attentamente per prestare attenzione alle proprie forze vitali, per sentire se possono diffondersi o se sono bloccate, se possono permeare luoghi e segmenti o se rimangono confinate solo in alcuni distretti.
L’atto percettivo, in uno stato di riposo (in śavāsana o in qualsiasi posizione che sia comoda e stabile) è la prima pratica, quella indispensabile, l’unica in grado di segnare il passaggio da un’attività motoria a una neurosensoriale; è quella che traccia una linea di confine tra una pratica fisica e la sādhana dello yoga.
Il corpo inizierà a essere non soltanto composto da sostanze chimiche e sistemi anatomo-fisiologici riconoscibili solo da sofisticati strumenti di laboratorio, ma sarà sentito, vissuto in prima persona, animato da pressioni, pesi, gradi di temperatura, densità e vibrazioni.
Si dovrà diventare consapevoli dello scorrere della vitalità nei canali interiori, posteriori, centrali, anteriori, fino a rappresentare il corpo non più come solida materia ma come insieme di forze vibranti e onde, talora emergenti come pura luce, talora come oscillazioni, a volte come semplici chiaro-scuri; si dovranno conciliare tamas, l’inerzia, con rajas, l’azione, per sentire operare in noi il potere della condizione sattvica.
L’uomo tantrico guarda a se stesso e al mondo non come a “cose” ma a delicate e possenti energie in movimento. Quando appare la cosa è perché l’energia si è per così dire ingolfata, la lava si è trasformata in dura ossidiana. Il rimedio è un’attenzione ininterrotta e spontanea a tutte le linee di energia che animano l’esistenza ordinaria, manifestandosi prima di tutto nella tensione dei sensi, nelle passioni, nelle emozioni. 1
Poiché lo yoga è un mezzo per l’auto-consapevolezza, non può esistere corpo senza percezione dello stesso. Nessuna forma di yoga è possibile se la Śakti, il dinamismo corporeo, non si manifesta per poi essere riassorbito in Śiva, la coscienza assoluta, irradiante consapevolezza.
Prima d’essere un corpo divinizzato dovrà tornare a essere integro, completo. Un corpo dove ogni aspetto sia percepito prima come insieme di parti (analisi) poi come totalità (sintesi).
Dovranno essere presenti omogeneità delle parti, gradevolezza e mite tepore in ogni arto, nel tronco, nella testa, all’interno, in profondità. Ogni parte si risolverà in un insieme (questo è uno dei compiti fondamentali di una lezione base di yoga).
Se lo si vuole trattare, purificare, rendere fluido ed elastico, malleabile e disponibile, il corpo sarà innanzitutto reso presente, sensibile, ricettivo, coscientemente vivo, ospitale.
Equilibrio è una parola chiave in molti testi dello yoga, che non è raggiungibile per chi vive nell’estremismo o nell’eccesso di dinamismo (rajas) o nell’inerzia più totale (tamas) ma solo da colui che è alla ricerca della conciliazione degli opposti (sattva).
Nell’Haṭhapradīpikā, tra le attività che disturbano la pratica yoga, sono menzionate l’alimentazione eccessiva e l’iperaffaticamento (Hp 1, 48), come pure si dovranno evitare le lunghe camminate, il saltare i pasti e l’eccessivo sforzo fisico (Hp 1, 49).